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Deceuninck inaugura un nuovo filone dedicato a pellicole cinematografiche che vedono le finestre protagoniste.

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Questo mese ricordiamo il celebre film diretto da Pupi Avati, “La casa dalle finestre che ridono”,

la cui sceneggiatura venne curata, oltreché dal regista, dal fratello Antonio, da Gianni Cavina, che interpreta uno dei personaggi, e da Maurizio Costanzo. La celebre pellicola di 110 min. girata nel 1975 e uscita nelle sale cinematografiche nel 1976, vinse il premio della critica al Festival du Film Fantastique di Parigi nel 1979 e nel giro di pochi anni divenne un vero cult del genere giallo-horror.

Il soggetto, piuttosto originale nella sua matrice narrativa, segue Stefano, restauratore di chiara fama, che viene assunto da Solmi, il nano-sindaco di un isolotto del ferrarese nella bassa padana, per ripristinare nella chiesa locale un affresco incompiuto che ritrae il martirio di San Sebastiano.  L’affresco in questione venne dipinto dall’artista locale Buono Legnani, deceduto prima del suo completamento. L’artista Legnani, il cui cadavere non fu mai ritrovato, pare si fosse suicidato quarant’anni prima dandosi fuoco. Solmi spera che il lavoro restaurato possa diventare un’attrazione turistica per quella piccola città che si staglia in una Romagna rurale e arcaica.  Circolano strane voci attorno alla figura inquietante del Legnani, tant’è che al giovane Stefano viene detto quanto fosse stato spesso definito “pittore di agonie” e che avesse “sofferto di un’anima scura”.  Al suo arrivo Stefano viene quasi subito preso di mira da telefonate anonime che gli intimano di lasciare l’incarico e insistono nel farlo desistere dal toccare l’affresco. Il contesto locale si dimostra così molto meno accogliente del previsto e il giovane restauratore si trova sempre più spiazzato dall’omertà e circondato da curiosi personaggi.  L’amico Antonio subito dopo averlo informato a proposito di strane scoperte, muore misteriosamente precipitando dalla finestra di un albergo in cui il restauratore aveva trovato alloggio. Allora Stefano, su consiglio di un sacerdote del posto, si trasferisce nella desolante casa abitata da un’anziana signora costretta a letto da un’infermità. Intrecciando una relazione con la giovane insegnante Francesca, recentemente trasferitasi in loco, il giovane restauratore indaga la storia di Legnani scoprendo attraverso Coppola, l’alcolizzato tassista del luogo, che l’artista aveva due sorelle con le quali pare avesse rapporti incestuosi.  Stefano apprende che le sorelle avrebbero ucciso e torturato modelli per fornire a Legnani cadaveri da dipingere e Stefano crede che le due donne nell’affresco della chiesa di San Sebastiano siano in realtà le sorelle dell’artista.  Poiché la sua indagine lo porta alla casa di Legnani – la fatiscente casa caratterizzata da grandi bocche sorridenti dipinte sulle finestre – la spirale di violenza fuori controllo si stringe sempre più intorno al giovane restauratore, mentre lo stretto rapporto tra morte, arte e identità si rivela nella torsione conclusiva del film.

Nel suo “La casa dalle finestre che ridono” il regista Pupi Avati, di cui pochi conoscono il passato da film-maker di cinema horrorparla dunque di una casa particolare, in cui le finestre sono le bocche sorridenti di tanti volti accennati (disegnate artigianalmente dal fratello del regista, Antonio) che si avvicendano su una delle sue facciate. Quelle stesse finestre sorridenti che invece nel film si racconta fossero state dipinte dallo stesso artista Buono Legnani, il grande assente protagonista della vicenda narrata dalla pellicola. Nonostante l’artista fosse morto suicida quarant’anni prima, nel film sembrano disegnate da pochissimo tempo: l’intensità dei colori delle bocche contrastava con l’intonaco già in parte andato perso, così buona parte delle labbra era disegnata sull’intonaco, mentre la rimanenza sui mattoni sottostanti.
La casa protagonista e ispiratrice del titolo del film si trovava in realtà lungo la strada del Lido di Volano, località balneare della provincia di Ferrarala più settentrionale del litorale di Comacchio (uno dei sette Lidi), quello più vicino al delta del Po e quindi più interessante dal punto di vista naturalistico. “La casa dalle finestre che ridono” quindi è esistita davvero, tant’è che all’epoca era diventata un vero e proprio luogo di pellegrinaggio per molti fan dell’horror, anche se successivamente è stata demolita.

Una casa che nell’immaginario cinematografico italiano, e non solo, ha accolto sulla sua facciata delle angoscianti finestre, testimoni di un orrore senza fine. Finestre che rivelavano sorrisi che in realtà nascondevano agonie, assurdi rituali e morti misteriose.

Deceuninck ti aspetta il mese prossimo con una nuova pellicola. Protagonista: la finestra!